
Da qualche parte il sole sta tramontando. Non qui. Ma sopra alle nostre teste il cielo ingombro di nuvole rosa ne è testimone. Lo Stretto è tranquillo come di rado accade. Scilla e Cariddi sono in pace e sulle rive cominciano ad accendersi le prime luci.
È passato un anno da quando Cautha ha lasciato gli ormeggi e da allora non abbiamo avuto più occasione di salire su una barca. Fino ad ora.
Il traghetto che ci porta sulle rive calabre è meno suggestivo e decisamente più rumoroso ma è pur sempre un mezzo sulle onde del mare. È strano. Prima di vivere da “barcaiola” la terra vista dall’acqua era un’affascinante sorpresa da turisti. Adesso lasciare la riva è un po’ come per chi parla due lingue cambiare idioma. Il mare è un luogo conosciuto, denso di ricordi, un mondo di cui conosco le regole e rispetto i limiti. Sono ospite su un’ imbarcazione che non mi appartiene, estranea e sconosciuta ma in qualche modo sono comunque in un territorio noto, a casa. Posso godere del volo dei gabbiani, del moto delle onde, dell’ orizzonte senza confini con una sensibilità che non avrei mai avuto senza i cinque anni sulla mia casa galleggiante.
Così, affacciata al parapetto in compagnia del vento, non ho rimpianti né struggente nostalgia ma invece una profonda ed emozionante riconoscenza per ciò che ho vissuto e imparato, per aver avuto il privilegio di sbirciare nell’anima del mare e per la certezza che tutto ciò mi apparterrà per sempre.
