“Nelle ore in cui era restato là dentro, la nebbia aveva invaso la città, una nebbia spessa, opaca, che involgeva le cose e i rumori, spiaccicava le distanze in uno spazio senza dimensioni, mescolava le luci dentro il buio trasformandole in bagliori senza forma né luogo.”
( Calvino – Marcovaldo )
Passi la nebbia di maggio ad Erice, giustificata dai 700 metri sul livello del mare, ma quando siamo usciti per una veleggiata verso le isole, ieri, certo non potevamo pensare che all’imboccatura del porto ci aspettasse un grigio nulla che lasciava intravedere poco o niente oltre la prua.
Come Marcovaldo ho sempre trovato la nebbia affascinante, piacevole il suo velare e svelare e scontornare i paesaggi rendendoli quadri ad acquerello. Ma quel nulla così intrigante sulla terraferma assume una connotazione decisamente più sinistra e surreale in mare, su una barca che scivola sulle onde verso e lontano da non si sa cosa. E la sirena dei traghetti che proviene da un altrove invisibile non è un suono rassicurante…
Guidati dall’ottimismo e da Santo GPS procediamo ugualmente verso Levanzo e, in breve, la nebbia si dirada e, al ritorno, ne resta solo un piccolo strascico all’orizzonte.
Mi viene in mente… “La nebbia arriva su zampine di gatto. S’accuccia e guarda la città e il porto…” e anche se non ricordo né finale né autore penso che le parole acquistano un senso diverso quando sono state realtà.