21 giugno.
In ordine d’importanza: compleanno di mia cognata, solstizio d’estate, giornata internazionale dello yoga.
Quando avevo vent’anni proprio per la mia frequentazione con quest’ultima disciplina ( e anche per una predisposizione naturale che impediva ai miei pensieri di procedere in modo lineare…) la mia amica Raffi mi aveva soprannominato Nodo.
Anche adesso che sono “grande” il soprannome e i nodi continuano a piacermi molto e in una barca, a differenza di quel che succede coi pensieri, risultano persino molto utili. Pare che l’arte di annodare risalga addirittura al Neolitico, alcuni storici la collocano prima della scoperta del fuoco e della ruota e comunque l’uomo ne ha fatto largo uso da sempre. C’è un grande fascino nell’idea che ad un semplice filo, inerme ed inutile, basti piegarsi su se stesso, girarsi, infilarsi sopra e sotto le proprie fibre per diventare un anello, un incrocio, un fermaglio, capace di sollevare, fermare, unire, sostenere. Un’ arte povera e un tantinello magica, ricca di nomi suggestivi: la gassa d’amante, il nodo a pugno di scimmia, a diamante, del chirurgo…
È impressionante la quantità di nodi esistenti e in questi giorni abbiamo avuto il piacere di impararne e affinarne alcuni grazie alla pazienza di Filippo, uno skipper di Rimini che ci sta regalando generosamente la sua grande esperienza.
Mentre guardo Stefano alle prese con le impiombature e Daniela con i braccialetti, mi viene da pensare che una delle cose belle dei lavori manuali é che prescindono dal giudizio esterno, perché il risultato parla da sè e la prima persona che lo capisce e lo valuta è proprio chi l’ha fatto.
Chissà, potrebbe essere un bel sollievo un risultato così immediato per i maturandi che proprio in questi giorni traboccano di aspettative e dubbi. Perciò ragazzi, magari, tra un libro e l’altro, provate ad annodare funi e…in bocca al lupo!