…Mastica e sputa, da una parte il miele, mastica e sputa, dall’altra la cera…
Così cantava De Andrè in una delle mie canzoni preferite. Lui narrava con le note e la sua meravigliosa poesia di alcune anziane contadine nel materano, io, invece, sono davanti alla versione moderna ma altrettanto affascinante di questa magica separazione.

In questo periodo di vita terricola approfittiamo del tempo più che clemente per fare visite rimandate da tempo: Emanuele Agosta è un uomo cordiale, un piccolo vulcano d’idee e un appassionato apicultore. Lo andiamo a trovare nella sua azienda, praticamente introvabile senza indicazioni accurate, immersa in un nulla affollato di verde, fronte mare, che benché lontano è sempre presente. In questa piccola oasi, dove l’intervento dell’uomo è ridotto al minimo, si compie il miracolo.

Come per l’olio, per il vino e per chissà quant’altro, da buona cittadina, nata e cresciuta tra le case, mi incanto nell’ammirare la passione e l’ingegno dell’uomo quando collabora con la natura.
In ordine sparso le arnie circondano il capannone dove avviene la lavorazione. Sono mansuete e affaccendate. Vicino alle loro casette è tutto un brusio. L’uomo che le conosce meglio di chiunque altro me ne posa una in mano, solo per un attimo prima che l’infaticabile insettino riprenda il suo andirivieni.

All’interno, una macchina prende il posto delle anziane donne e raschia via la cera dai favi.

Provo ad assaggiarla, ricavandone un minimo residuo di miele e una gomma da masticare, bizzarra ma buonissima. Lì accanto la centrifuga è pronta ad estrarre l’ambrato zucchero dai telai disopercolati

e il miele, ancora intriso di natura, nel secchio, aspetta di essere filtrato per finire nei vasetti pronti per la vendita.

Sull’etichetta un cielo blu, fiori gialli, un bagolaro dalla chioma frondosa, tipico e antico, che Emanuele descrive come un gigante buono e, dietro gli immancabili muretti a secco, una masseria. Sul tetto, quasi invisibili, due uomini che mettono tegole, perché, ai primi del 900, Fornace Penna di Punta Pisciotto sfornava mattoni e tegole al ritmo di diecimila pezzi al giorno. Una scelta grafica fatta di cuore e di memorie.

Emanuele spiega, racconta, mostra, invita all’assaggio con una passione difficilmente contenibile. Quando ce ne andiamo siamo più ricchi e sazi di conoscenze. Ci portiamo a casa dei dolci piaceri ma non solo: nella borsa della spesa c’è anche un romanzo sulla Sicilia e sulle sue tradizioni, scritto in un piccolo rettangolo di carta blu incollato su un vasetto di vetro.

Grazie, grazie mille, ancóra e sempre per queste tue righe ricche di emozioni.Un abbraccio!
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Grazie di cuore a te e a voi tutti che mi permettete di esprimerle: le emozioni sono sterili senza qualcuno con cui dividerle. Un caro, caro saluto!
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Brava, ancora una volta…
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Grazie. I complimenti da parte del mio “controllo qualità” sono sempre molto apprezzati 🙂 Un abbraccio!
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