L’impressione è quella di trovarsi in una specie di far west nostrano, circondati da canyon e da vegetazione selvaggia.
Il millenario scorrere del fiume Anapo ha creato queste gole, gli inaccessibili altopiani che le sovrastano e le rive appena accennate del fiume che scorre sotto le ripide pareti.
Luoghi strani e certo non comodi per far nascere insediamenti eppure, molto prima della venuta dei Greci, popolazioni locali sono fuggite dalle coste e dal mare e si sono rifugiate qui, alla ricerca di un’ estrema difesa. Da cosa o da chi non ci è dato sapere per certo ma poco o nulla è rimasto dei loro villaggi.
Invece, per qualche bizzarro disegno più geologico che divino, le loro necropoli sono rimaste intatte attraverso i secoli. Le pareti scoscese sono bucherellate come groviera da una moltitudine di piccole grotte scavate a beneficio dei defunti.
Circa 5000 tombe si aprono nella roccia creando una scenografia che non ha più nulla in comune con cowboy e indiani ma che è di una suggestione unica.
Dichiarato sito Unesco, la necropoli di Pantalica si lascia corteggiare dai visitatori . In queste giornate invernali però il sito è deserto e percorriamo sentieri, affrontiamo guadi
e ci intrufoliamo nelle grotte
in completa sintonia con l’ambiente.
E se i più avventurosi ( e giovani…) tra noi progettano di tornare con tende e sacchi a pelo per una notte “primitiva” a me è bastato questo breve e diurno tuffo tra boschi e rocce per immaginare e rivivere quell’emozione profonda e selvaggia che più di duemila anni fa deve aver accompagnato le anime degli antichi scultori di questi luoghi.
Pantalica muore e rivive nella sua culla.
Un alveare di case e tombe sulla montagna.
Dorme nel sogno il trofeo della vita…(Santi Martorino – Le Muse di Pantalica)