Immaginate, mentre osservate un presepe allestito come tradizione vuole, di sentirvi improvvisamente strani e, come da copione di un vecchio film di fantascienza, di cominciare a rimpicciolire sempre più fino a ritrovarvi a guardare negli occhi le statuine di terracotta.

Ora, sopra di voi c’è un cielo blu intenso, cosparso di stelle e una piccola falce di luna. Sotto ai vostri piedi un sentiero di ghiaia e terra. Intorno grotte, scavate nella roccia di bianco calcare, coperte di muschio e gocciolanti acqua. Faló lungo le strade e, in lontananza, la cometa. Ad attendervi, per darvi il benvenuto, una voce d’angelo che racconta, cantando, la storia di un bambinello nato in una stalla.

Attorno a voi, via vai di gente, ognuno intento al suo lavoro. Una piccola folla di artigiani che popola le grotte, mestieri antichi e dimenticati: il cordaio

il canestraio

il frantoiano

il pittore

il muratore

il vignaiolo

il fabbro

l’arrotino

il seggiolaio

il mugnaio e tanti altri ancora…

A tratti, come fossero azionati da un remoto pulsante, interrompono il loro lavoro per presentarsi a voi che li osservate e, in versi, declamano la loro storia…

Bene, per vostra e mia fortuna, non importa rimpicciolire, perché questo è esattamente quello che aspetta i visitatori al presepe vivente di Ispica. Le grotte, fino a sessant’anni fa ancora utilizzate, sono una cornice ineguagliabile e i figuranti di una bravura unica. La suggestione è tale da chiedersi veramente se non sia accaduto una specie di miracolo e il tempo impiegato a scrutare ogni angolo è intriso di emozioni. Quando, alla fine del percorso, al canto della lavandaia si sovrappongono le timide voci dei visitatori che ricordano l’antica melodia, l’emozione sfiora la commozione.

Ma è l’ultima, toccante scena, prima di tornare al mondo reale. Sul muro che separa la realtà dal sogno un ultimo scritto e una certezza: l’auspicio delle parole di commiato non sarà disatteso.
