E siamo arrivati alla fine, finita la Calabria, lo stivale intero, il continente; doppiato capo Spartivento,
capo Riace,
passato lo stretto di Messina e infine atterrati in Sicilia. Due giorni intensi in cui è facile capire perché proprio questo mare è lo scenario di cui si è servito il buon Omero per il suo Ulisse. Un mare tanto splendido quanto infido, capace di farci veleggiare in modo incantevole, per poi, d’un tratto, girare il vento come un calzino e soffiarci 20 nodi proprio sul naso; capace di trasformare in un soffio una superficie di olio azzurro in un ribollire d’onda di due metri. Scilla e Cariddi, a difesa dello stretto, acquistano tutto un altro senso quando gli si passa davanti e cresce, se già non era abbastanza, il rispetto e l’ammirazione per i navigatori, quelli veri, quelli che, senza motore, senza gps, senza radio, giubbotto salvagente e winch solcavano questi mari da tempi talmente lontani da essere immemorabili. Del loro eroismo, forse, rimane qualcosa in quel numero imprecisato di persone ( ma erano tantissime!!!) che con kitesurf e windsurf veleggiavano a velocità inimmaginabili attraverso lo stretto. A dire il vero, questa immagine così poetica è lontana anni luce da quel che ho pensato quando, con i 20 nodi di cui sopra, ce li siamo trovati davanti, dietro, intorno, dovunque…ed è solo perché non ci è scappato il morto che ne parlo con simpatia…
Comunque, dopo aver lasciato le coste Calabre del sud, peraltro molto meno brulle e aride di quel che immaginavo e, anzi, con un fascino misterioso, siamo arrivati a Milazzo
dove ci viene propinato un ormeggio che ci ha costretto agli arresti domiciliari per metà pomeriggio: le onde dei motoscafi di passaggio e la risacca erano talmente alte che non riuscivamo a scendere dalla barca e abbiamo rischiato di soffrire per la prima volta il mal di mare…in porto!!! Piú tardi, peró, si è liberato un posto umano, per fortuna, altrimenti non avremmo potuto visitare la cittadina e scoprire che il castello che la sovrasta è una zona archeologica vasta ed intatta, mozzafiato.
E così, anche questa volta, a dispetto dei mostri dei gorghi, abbiamo il nostro lieto fine.