Ecco fatto!
Approfittando di una breve tregua meteo, riusciamo a riportare Cautha in acqua, giusto in tempo per l’apice del maltempo: luce saltata in banchina, quindi niente riscaldamento (per fortuna siamo in Sicilia…), vento a 30 nodi (per i non addetti ai lavori circa 56 km orari) e un bel po’ d’onda in porto. Insomma, festeggiamo il ritorno con un toboga degno di Mirabilandia ma, nonostante tutto e incurante dello sballottamento, sono contenta di essere di nuovo “a casa”.
A parte la fatica, le ossa rotte e l’ansia perenne per l’arrivo o meno della pioggia che poteva pregiudicare il risultato della verniciatura, sono soddisfatta di aver fatto il lavoro di persona.
Il lavoro fisico ha un gran vantaggio: la stanchezza è tale che non esiste problema che non possa essere risolto con una bella dormita, e ditemi se è poco…
Per contro c’è anche un grande svantaggio nel vedere da vicino il proprio nido.
Non so se sia una percezione squisitamente femminile o se è solo mia personale ma le cose, soprattutto quelle grandi come una casa, una barca, un’auto, nella mia mente sono un tutt’uno, come nei disegni dei bambini, un oggetto unico e indivisibile.
Figuriamoci se mi son mai chiesta come facciano a stare in piedi o come sono fatte (sempre cambiato canale quando c’era “Come è fatto” in tv…).
Disgraziatamente, quando si carteggia o si pennella un pezzetto di barca alla volta, si notano tante cose che convogliano tutte in una sinistra certezza: ci sono un sacco di pezzi che stanno attaccati a tanti altri pezzi in modo non così dissimile da quello del “Meccano” di antica memoria.
Guarnizioni, viti, bulloni…
Certo lo sapevo anche prima, ma era una consapevolezza relegata in un angolo remoto del mio subconscio.
E se tutta questa meccanicità per Stefano ( e forse per gli uomini in genere) è in qualche modo motivo d’orgoglio per l’ingegno umano e una sfida continua a saperne di più, per me (“antimeccanica” per eccellenza) è più simile ad un attacco d’ansia.
Niente di personale nei confronti delle viti, ma emotivamente, le ho sempre trovate meno rassicuranti di una non ben definita…forza?… che in modo inesplicabile faceva sì che la barca fosse quel che era.
Bei tempi!
Adesso che ho toccato con mano mi toccherà rivalutare viti e bulloni e magari mi sentirò in dovere di non cambiare canale la prossima volta…
L’ignoranza a volte è una gran bella cosa!
Abbiamo vissuto anche noi la stessa esperienza (e per noi è stata la prima volta!!!) lo scorso mese di Ottobre. La fatica è davvero tanta a farsi i lavori da sé, ma l’ orgoglio e la soddisfazione a lavoro finito sono enormi!!! 😉
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E’ stata la prima volta anche per noi. Gli altri anni ci ha pensato il cantiere e, avete ragione, non è stata fatica sprecata! un caro saluto.
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Fare carena da sè è emozionante, appagante e sicuramente stancante. Ma vedere il proprio “nido” ritornare bello, con la pancia pulita e liscia. … non ha prezzo.
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