Temuta da chi in queste terre e in questo mare vive e lavora, la lupa che viene dal mare arriva all’improvviso, come solo i predatori sanno fare. Fulminea e silenziosa inghiotte le sue prede. Con un respiro fetido si posa salata e pesante sugli alberi, togliendo loro vigore e forza; ricopre il mare di una coltre impenetrabile ed esilia i pescatori al largo, persi, incapaci di intravedere la strada del ritorno.
Non è che nebbia, ma il nome con cui la gente comune la chiama le rende onore.
Da buona emiliana conosco bene il fenomeno atmosferico ma lo accosto a serate autunnali, ad alberi spogli, a brividi lungo la schiena.
Qui, invece, il pomeriggio ha i colori e il calore dell’estate ma, quando la lupa arriva, con repentina rapidità si trasforma in un crepuscolo invernale. In un battito di ciglia il cielo scolorisce, i contorni delle cose svaporano, l’umidità diventa così pesante che si sentono le gocce sulla pelle, come piovesse. Gli stranieri (ed io con loro) restano sbigottiti e scattano foto per futura memoria, mentre in spiaggia nulla cambia: i ragazzi giocano a tamburello, fanno il bagno, qualcuno resta persino sdraiato sotto un invisibile sole. La vita continua all’interno d’una grigia nuvola in attesa che la lupa, sazia, torni negli abissi del mare, rendendo al mondo i suoi colori.