Letture incaute

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Fu qualcosa di formidabile e di fulmineo, come l’improvviso frantumarsi di una fiala di collera. Parve esplodere tutto intorno alla nave con un tuono travolgente e un impeto di enormi ondate, quasi che una diga immensa fosse crollata sopravvento. In un attimo gli uomini perdettero il contatto gli uni con gli altri. É questa la forza disintegratrice di un gran vento: isola gli uomini dai propri simili…li attacca come un nemico personale, cerca di afferrarne le membra, si getta sulla loro mente, si sforza di porre in rotta il loro stesso coraggio.
( Conrad – Tifone)

Pessima idea, decisamente pessima.
Leggere “Tifone” alla vigilia di un allarme meteo é stato quantomeno imprudente, per lo spirito s’intende, perché la natura se ne infischia delle umane letture, incaute o meno.
E infatti il vento annunciato é arrivato puntuale.
Ieri sera, aiutati da Cristian (un ottimo marinaio, di quelli che amano le barche come fossero esseri viventi di una specie protetta) abbiamo legato Cautha come un salame e oggi si balla, ma non in modo drammatico.
La cosa curiosa di questa città, o forse di tutte le città di mare, è che per le vie del borgo ( di scolastica memoria…) il vento è bandito. Per quanto imperversi e scalpiti nelle acque del porto, é costretto ad arrendersi di fronte all’esercito compatto dei muri delle case. Nei stretti vicoli del centro storico neppure un refolo scompiglia i capelli. Solo, in alcuni punti, dove trova una falla, girato un angolo, tra due case, dà sfogo a tutta la sua rabbia repressa e frustrata. Con raffiche violente, allora, piega le palme, spazza le strade, mina l’equilibrio degli inconsapevoli passanti. Ci ricorda che anche se ci sentiamo al sicuro, anche quando non lo vediamo e non lo sentiamo, lui è là, fuori, e pretende l’umiltà e il rispetto che, con lui, tutta la natura merita!

Aria

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Leggero come l’aria…
Già! Ditelo a questa bandiera.
Due mesi fa aveva tutti e tre i suoi colori al posto giusto e i contorni ben delineati. Sventolava fiera sulla ringhiera del marina. Ed ora, eccola qui: i venti che si sono accaniti su di lei (e che ci hanno fatto passare un paio di notti insonni) l’hanno ridotta a brandelli.
Non ci avevo fatto caso, sotto la pioggia incessante di questi ultimi tempi, ma adesso, col sole, fa un po’ pena, senza il suo rosso, mutilata e stanca.
La leggerezza dell’aria può diventare devastante, ma oggi, finalmente col cielo terso, il vento è tornato un amico e anche noi abbiamo incontrato un nuovo amico, in carne ed ossa, però. Luigi, una “conoscenza da blog”, ci è venuto a far visita per qualche chiacchiera davanti ad un caffè.
Una delle cose che più mi piacciono ( ormai dovreste saperlo…)sono gli incontri, le persone che ci attraversano la strada e che a volte proseguono un po’ con noi.
E da quando siamo partiti sono state tante: prevedibili, inconsuete, sorprendenti, comuni, straordinarie…
Un’umanità eclettica, con poco o niente in comune, tranne…la capacità di raccontare.
Gente che ha qualcosa da dire, storie da condividere. E ascoltarli, per me inguaribile lettrice, é come sfogliare libri d’avventura: la tragedia del marinaio che perde un ragazzo in mare, il romanzo rosa di chi sbarca per amore, il ragazzo di buona famiglia che snobba il “posto fisso” per girare il mondo, la stunt-woman che sventa uno scippo, placcando il malvivente, il ragazzino di quindici anni che costruisce una Dune Buggy con pezzi di recupero e poi…
storie di mare, di tempeste, di pesche miracolose, di paradisi perduti, di scelte che acquistano il loro senso solo guardandole dal futuro…
Ci sarebbe materiale per decine di romanzi, ad essere scrittori veri, ma mi consolo, perché in un mondo così pieno di parole, ma di parole così spesso vuote, anche solo ascoltare diventa un privilegio e un lusso farlo con piacere.

“Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia, e qualcuno a cui raccontarla”
(Barricco-Novecento)

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Finalmente il sole!

 

Singing in the rain

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Se avessi cantato sotto la pioggia in quest’ultimo periodo, quasi sicuramente sarei pronta per Sanremo. Qualcuno potrebbe obiettare che non ci vuole poi molto, ma il fatto resta: siamo in Sicilia e piove da un mese.
La pioggia non rende la vita particolarmente comoda a nessuno ma diventa veramente fastidiosa in barca: bisogna trovare un posto dove fare sgocciolare le giacche fradicie senza allagare le cabine, togliersi le scarpe nel pozzetto diventa un’operazione da fachiri… e amenità simili.
A consolarmi c’è (incredibile per chi mi conosce) la spesa quotidiana. Ho sempre detestato far la spesa (non a caso il mio frigorifero e la mia dispensa erano la prova inconfutabile dell’esistenza dell’antimateria ), ma qui c’è un’abitudine meravigliosa.
I fornai sfornano pane per tutto il giorno!
Entrando in un forno alle sette di sera si è certi di uscirne accompagnati dall’esortazione:
“Attenzione che brucia!!”.
Prima d’ora il pane caldo era solo un ricordo della mia infanzia. Nello sperduto paesino in cui passavo l’estate il pane bisognava ordinarlo e alle undici veniva consegnato alla bottega tuttofare del luogo. Il compito di portarlo a casa toccava allo stuolo di ragazzini villeggianti e locali a cui appartenevo e che si assiepavano a quell’ora davanti al mitico “bottegone”. Resistere alla tentazione di una pagnotta calda é difficile sempre, impossibile a 14 anni e i sacchetti arrivavano nelle rispettive abitazioni molto più leggeri di quando erano stati presi in consegna.
Il pane appena sfornato é un’opera d’arte: ha un caldo colore dorato e quando si spezza, per un attimo, il vapore che fugge dall’interno ne confonde i contorni. Scalda le mani e scricchiola piacevolmente sotto i denti. Il profumo,fragrante, è l’anticipazione del gusto: più o meno salato ma sempre con un retrogusto dolce, croccante al primo morso, nasconde una mollica morbida e umida. Sembra fatto apposta per appagare tutti i sensi.
Così, sotto l’acqua torrenziale di questi giorni, comprare il pane quotidiano diventa una faccenda tutt’altro che sgradevole e non vedo l’ora di rispondere al fornaio: ” Grazie, non si preoccupi, farò attenzione…”.

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S. Valentino: viva la gente

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Ore 18. Appuntamento via Skipe con Silvia, anni 19, studia giornalismo a Londra e per “compito” deve intervistarci. Quando parte la videochiamata sono già bendisposta, visto il nome… Lei é carina, capelli lunghi, biondi, un po’ nervosa, dice ” é la mia prima intervista…”.
Mi fa sorridere di cuore. Non riuscivo ad innervosire nemmeno i miei alunni ( il che, alle volte, era un problema).
Comunque lei é brava, si é preparata, sa cosa chiedere e soprattutto sa ascoltare.
Diciannove anni sono pochi e sono un’enormità quando sono spesi con passione ed entusiasmo. É un privilegio esserle d’aiuto.
Ore 20. Cena al ” Vicoletto”. Il gestore, Marco, é un amico di blog, conosciuto sulle pagine di Cautha.
Il ristorante é un tesoro nascosto, non lo vedi se non sai dove cercare. Piccolo, grazioso, accogliente, musica a fare da sottofondo perché la cucina parla da sola. Ingredienti di altissima qualità (mai mangiato pesce così fresco), piatti curati, semplici ma non banali e un vino degno del cibo che accompagna. Oltre a Marco, ragazzone romano, ex marinaio, approdato sulla terraferma per amore, sua moglie, piccola, minuta, con un viso dolcissimo e Daniele che si occupa della sala e del vino con grande garbo ed esperienza. Usciamo soddisfatti ed appagati, coccolati dal cibo e dalla compagnia, trattati come vecchi amici, con la promessa di averli ospiti in barca.
Ecco, non é che non pensi mai di avere azzardato, di aver fatto una scelta un po’ incauta, di essere costretta a tornare indietro prima del previsto… ma anche se fosse, giornate come oggi, incontri e persone come queste (e sono state tante) mi fanno dire che, comunque vada, anche solo per le esperienze vissute finora, ne sarebbe valsa davvero la pena.
Il mondo sarà quel che sarà ma è anche pieno di bella gente! Non dovremmo dimenticarlo!

Amnesia retrograda globale

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Chi non ha avuto la fortuna di seguire “Amnèsia” di Matteo Caccia (programma radiofonico su radio 2 tra i più belli che io ricordi) non capirà la citazione, ma non importa, perché ciò di cui voglio parlarvi non è né retrograda né globale ma é senz’altro amnesia.
Periodo di carnevale e il tempo ha deciso di sposarne lo spirito allegro con una tregua e, dopo quasi quattro settimane di pioggia, si è dimostrato clemente, permettendoci una bella veleggiata di qualche ora. Così, in attesa di restituire la casa a Daniela che tornava da scuola, ci siamo goduti la barca in quanto tale.
Ed è proprio allora che é insorta l’amnesia…
Non so perché non capiti a Stefano (e agli uomini in genere, per quanto ho potuto appurare) ma a me succede sempre. Bastano un paio di settimane senza maneggiare cime e strumenti e…. oplá…
Non è che non ricordi proprio nientenienteniente ma, come dire, le sequenze precise per alcune manovre o qual è la posizione esatta, sugli strumenti, dei numeri che indicano i nodi e la profondità, ecco, sfuggono un po’.
Hanno bisogno, diciamo, di un po’ di tempo per tornare bene a fuoco. Insomma, devo riprendere dimestichezza.
A me non sembra così strano ma gli sguardi del coniuge, quando si trattiene gentilmente dall’esprimersi a parole, sembrano credere il contrario.
Ma insomma, dico io, come si fa a ricordare tutto? Non si può mica pensare solo a quello…
In ogni modo, la veleggiata é stata uno spettacolo, il cielo e il mare hanno sfoggiato le loro migliori qualità: calmo il primo, con un’onda lunga ma affatto fastidiosa; limpido il secondo, con le Egadi che si stagliavano nette, all’orizzonte; poco vento, ma sufficiente a gonfiare le vele e il sole tiepido sulla pelle.
Un piacere… anche per chi è affetto da amnesia parziale e temporanea.
E, a proposito, se c’è qualche altro malato in giro me lo faccia sapere.
Come si dice…mal comune, mezzo gaudio…

Ritorno

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Ecco fatto!
Approfittando di una breve tregua meteo, riusciamo a riportare Cautha in acqua, giusto in tempo per l’apice del maltempo: luce saltata in banchina, quindi niente riscaldamento (per fortuna siamo in Sicilia…), vento a 30 nodi (per i non addetti ai lavori circa 56 km orari) e un bel po’ d’onda in porto. Insomma, festeggiamo il ritorno con un toboga degno di Mirabilandia ma, nonostante tutto e incurante dello sballottamento, sono contenta di essere di nuovo “a casa”.
A parte la fatica, le ossa rotte e l’ansia perenne per l’arrivo o meno della pioggia che poteva pregiudicare il risultato della verniciatura, sono soddisfatta di aver fatto il lavoro di persona.
Il lavoro fisico ha un gran vantaggio: la stanchezza è tale che non esiste problema che non possa essere risolto con una bella dormita, e ditemi se è poco…
Per contro c’è anche un grande svantaggio nel vedere da vicino il proprio nido.
Non so se sia una percezione squisitamente femminile o se è solo mia personale ma le cose, soprattutto quelle grandi come una casa, una barca, un’auto, nella mia mente sono un tutt’uno, come nei disegni dei bambini, un oggetto unico e indivisibile.
Figuriamoci se mi son mai chiesta come facciano a stare in piedi o come sono fatte (sempre cambiato canale quando c’era “Come è fatto” in tv…).
Disgraziatamente, quando si carteggia o si pennella un pezzetto di barca alla volta, si notano tante cose che convogliano tutte in una sinistra certezza: ci sono un sacco di pezzi che stanno attaccati a tanti altri pezzi in modo non così dissimile da quello del “Meccano” di antica memoria.
Guarnizioni, viti, bulloni…
Certo lo sapevo anche prima, ma era una consapevolezza relegata in un angolo remoto del mio subconscio.
E se tutta questa meccanicità per Stefano ( e forse per gli uomini in genere) è in qualche modo motivo d’orgoglio per l’ingegno umano e una sfida continua a saperne di più, per me (“antimeccanica” per eccellenza) è più simile ad un attacco d’ansia.
Niente di personale nei confronti delle viti, ma emotivamente, le ho sempre trovate meno rassicuranti di una non ben definita…forza?… che in modo inesplicabile faceva sì che la barca fosse quel che era.
Bei tempi!
Adesso che ho toccato con mano mi toccherà rivalutare viti e bulloni e magari mi sentirò in dovere di non cambiare canale la prossima volta…
L’ignoranza a volte è una gran bella cosa!

Ci risiamo

Quando ho lasciato la casa dei miei genitori avevo 25 anni e mi ero appena sposata. La nuova casa, la nostra, era un piccolo appartamento in centro a Bologna, ovviamente da ristrutturare. Come ebbero a cantare al tempo i nostri amici, con un improvvisato coro goliardico “…doveva essere una sistemata e in un cantiere l’han trasformata…”
Succede sempre così, no? Si parte convinti di fare solo l’indispensabile e si finisce per buttare all’aria tutto. E ovviamente i costi lievitano…
Così l’imbiancatura che, a detta dei soliti esperti, è alla portata di tutti, diventa un lavoro fai-da-te.
Quella prima memorabile volta, fortunatamente, sull’impalcatura ad aiutarmi c’era la mia adorata cognatina che, più giovane di sei anni, contribuì non poco a trasformare il tutto in un gioco. Nonostante ciò, di fronte all’ultimo muro da scrostare (i precedenti proprietari, in perfetto stile “anni 70”, avevano muri di ogni improbabile e indelebile colore…) ci guardammo e facemmo giuramento solenne che non avremmo mai più imbiancato una casa, a costo di dover chiedere un mutuo per l’imbianchino! Non le ho mai chiesto se ha mantenuto fede all’impegno, ma per me è stata una promessa vana.
Nonostante l’acquisto di una casa più grande avesse allungato il momento della fatidica e inevitabile “rinfrescata”, il temuto appuntamento arrivò. E anche quella volta il miraggio del risparmio annebbiò le mie facoltà cognitive. E mentre imprecavo con il soffitto ad anni luce dal mio rullo imbevuto di bianco, era il mio amico Sandro, questa volta, che se la rideva, dicendomi, e a ragione, che mai aveva visto un imbianchino più lento e impacciato…
Ora, quando si vende una casa per andare a vivere in barca, non si hanno molte certezze, ma almeno quella di non dover imbiancare dei muri dovrebbe essere inconfutabile.
Macché!
La barca non ha intonaco ma, come già sapete, ha una carena…!!!
E così ho di nuovo un rullo in mano, della vernice in faccia e le ossa rotte.
I casi sono due: o vendo la barca per una baita o spero in un genero imbianchino…!

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La natura…selvaggia…

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Cautha a secco

…Chi poteva dire dove finisse la città e cominciasse la natura selvaggia? Chi poteva dire quale delle due limitasse l’altra?… La città, dopotutto, era solo una grande nave piena di scampati in costante movimento, e cercava di tenersi a galla sull’erba e di tenere a bada la ruggine…
(Ray Bradbury- L’estate incantata)

Se il grande Bradbury ha potuto dire questo di una città, chissà cosa avrebbe detto di una barca, che nella natura selvaggia é addirittura immersa. Vero é che l’eterna lotta tra uomo e natura si manifesta in innumerevoli modi.
“Fare carena” e cioè tirare la barca fuori dall’acqua e pulire il “sotto”, è uno di questi. Se la chiglia di una qualunque imbarcazione fosse lasciata in mare senza intrugli chimici ( in gergo vernice antivegetativa), in un tempo davvero breve, alghe, alghette, conchiglie, cozze e una serie di pittoreschi organismi degni della fantasia dei creatori di Alien si approprierebbero del mezzo, incuranti che ci sia anche un “sopra” e ne farebbero il loro habitat.
Perciò, ogni tanto, l’uomo deve riappropriarsi del proprio territorio sottraendolo al mare che, nonostante tutto, continua, giorno dopo giorno, a reclamarlo.

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L’opera del mare in una barca vicina

La nostra situazione, però, presenta qualche ambiguità in più: si dà il caso, infatti, che per riappropriarci di casa siamo costretti a perderla… Con la barca in cantiere siamo “sfrattati “; momentaneamente, solo momentaneamente, ma intanto stiamo vivendo in un appartamento.
É un piccolo e grazioso monolocale di un amico. Solo un anno fa l’avrei definito “una sistemazione perfetta per le vacanze “; adesso mi sembra l’equivalente di una villa padronale dove una famiglia come la nostra ci sta…larghissima… E nonostante ciò mi sento un po’ in prestito.
Le pareti non ondeggiano se c’è vento, le gocce di pioggia non tamburellano sul soffitto, la risacca non la fa sussultare eppure (o forse proprio per questo?) la sensazione più forte non è la ” sicurezza del mattone ” ma, in qualche modo, invece, proprio la sua precarietà.
Vai a capire cosa succede nella testa della gente quando vive per un po’ nella natura “selvaggia”…😉

Palermo

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Eravamo in debito con Palermo. Durante il nostro viaggio l’avevamo solo sfiorata. Per avvicinarci un po’ di più alla meta finale avevamo ormeggiato in un porto vicino ma non abbastanza per visitare la città e i sobborghi, raggiungibili a piedi, non avevano francamente molto da offrire. Così, con due ore di comodo pullman, decidiamo di riparare al torto inflitto al capoluogo siculo. La prima impressione è piuttosto prevedibile, ma dopo sei mesi in una realtà circoscritta è davvero la prima cosa che mi colpisce: Palermo è una città, una grande città. Ha il respiro delle grandi città, il ritmo, le geometrie, il traffico, quell’insieme di sensazioni che fa capire d’essere in un posto dove vive tanta, tanta gente. E come tutte le grandi città è un po’ dispersiva. Nasconde tesori d’arte e luoghi incantevoli un po’ qua, un po’ là. Per chi arriva impreparato come noi vuol dire camminare senza una meta precisa accontentandosi di scorci inattesi di teatri,
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chiese, piazze
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mercati,
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giardini dove la mia anima, che per metà resterà sempre verde, ha modo di sciogliersi davanti ai monumenti di madre natura.
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Ad essere proprio sinceri, impreparati del tutto non eravamo. Un indirizzo l’avevamo annotato. Un indirizzo forse un po’ prosaico ma decisamente accattivante e…goloso. Pare che a Palermo ci sia una delle 10 migliori gelaterie del mondo, così dicono le guide e, per verificare abbiamo seguito il navigatore del telefono attraverso miriadi di stradine per scoprire che, ebbene sì, le guide dicevano il vero.

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“Al Gelatone”

Insomma, possiamo dire che abbiamo avuto un assaggio di Palermo, in tutti e …con tutti i sensi e, come prima impressione, non è andata affatto male.

Amo la radio

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 … Amo la radio perché arriva dalla gente, entra nelle case e ci parla direttamente…

Io amo Finardi e amo la radio, di un amore antico e sincero e sono lusingata che oggi abbia voluto sapere un po’ di noi.
Nonostante tutto, però, non riesco a non chiedermi “perché?”
Perché  tante persone sono così interessate, così piene di entusiasmo, così, oserei dire, persino sinceramente affettuose?
Non fraintendetemi. A me fa un piacere infinito.
E forse so anche la risposta.
Forse siamo tutti stanchi di coniugare i verbi al condizionale: vorrei…mi sarebbe piaciuto…non dovrebbe essere così…
Forse abbiamo bisogno di futuro: farò…proverò…vedrò…
Forse ci manca un po’ il quindicenne che eravamo, quello che cambiava, in preda all’incertezza dell’adolescenza, capelli, taglia di vestiti, numero di scarpe, amici, gusti musicali, cibi preferiti e ciò che voleva fare da grande…
Forse la stabilità perde il suo fascino quando diventa abitudine.
Forse abbiamo bisogno di ricordare che le possibilità che avevamo a quindici anni non sono sparite, siamo noi che abbiamo scelto di ignorarle.
E non parlo di andare a vivere in barca…parlo di cambiare taglio di capelli, colore dei vestiti, bicicletta, ristorante preferito, luogo di villeggiatura, sport, passatempi, forse anche lavoro o casa, qualche volta. Parlo di pensare che si può fare anche… “altro”.
Forse è così, forse è per questo, forse lo è per molti. Di sicuro lo è per me. E mi sembra una bella cosa!

Niente come l’abitudine ti addormenta, manda in fumo i tuoi sogni di un tempo e ti fa credere di esserti già giocato tutto, quando invece la vita è piena di novità e di sorprese. A saper guardare.(Bjorn Larson)

Fenicotteri

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Sul finire dell’estate,  in visita alle saline per la prima volta, eravamo convinti che vedere dei fenicotteri sarebbe stato un “ colpaccio”, una vera fortuna. Non sapevamo ancora che, poco distante dal porto, vive indisturbata una colonia permanente di questi simpatici animali.
Si tengono un po’ in disparte dalle strade più battute, nelle acque salmastre delle saline meno raggiungibili.
La loro macchia rosa crea un curioso contrasto con la bianca città alle loro spalle.
Sembrano… ballerini che aspettano su una gamba … per dirla alla Paolo Conte.
Una pacchia per i fotografi che transitano da queste parti con attrezzature imbarazzanti e teleobiettivi da paura.
Si fermano ogni metro per trovare l’inquadratura migliore e non ho dubbi che il risultato sarà fantastico.

Ma anche se l’equinozio di primavera è ancora lontano, qui il cielo è terso, stranamente non tira vento, il tramonto è ogni giorno un minuto più tardi e i fenicotteri se ne  infischiano delle inquadrature e di noi tutti che li guardiamo ammirati.
Se ne stanno vicini, come tanti punti interrogativi rosa e non si prendono nemmeno il disturbo di un voletto…
Ma vuoi vedere che il signor Samuel Butler aveva ragione?

Tutti gli animali, ad eccezione dell’essere umano, sanno che la principale occupazione nella vita è fare in modo di godersela.

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Boom

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Tre giorni: 15000 visualizzazioni, 3000 visitatori, 120 commenti.
Inaspettato? Straordinario? Emozionante? Assolutamente sì.
Siamo rimasti davvero senza parole. E quindi… Benvenuti! Benvenuti a tutti!
Siete davvero tanti e sicuramente tra i tanti, molti sono velisti, di quelli seri, che hanno incominciato ad andare in barca da quando erano bambini e hanno anni d’esperienza. Così, per amore d’ onestá e anche per presentarci meglio mi sembra giusto raccontarvi la “relazione” con la nostra casa galleggiante.
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Prima di tutto non nasciamo velisti. Siamo saliti a bordo, se così si può dire, solo 4 anni fa. E prima solo mari del nord, in camper e bicicletta. Mai neppure noleggiato una barca a vela ma Stefano la passione ce l’aveva nel dna. Una volta cambiato il camper con la barca non pensò più a nient’altro.
Per me è andata un po’ diversamente. Tenere il timone, all’inizio, mi spaventava a tal punto che imparai molto in fretta a fare tutto il resto, guadagnandomi la fama involontaria di marinaio tuttofare. Nessuno ha mai sospettato che tanto zelo derivasse in realtà da una fifa blu.
E arriviamo alle ragazze. Messe davanti al fatto compiuto reagirono secondo il loro carattere. Daniela, da buona subacquea, appena salita in barca decise che era divertente se si andava veloci e se al timone ci stava lei, altrimenti era molto meglio stare SOTTO all’acqua.
L’animo poetico di Silvia, invece, si innamorò immediatamente del suono del vento, del colore del mare. L’animo sí, ma lo stomaco no. Si rassegnò a navigare, quindi con la penna: in “Sognando Venere” una ragazza solca i mari cercando il suo nome…
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Quel che capita alla ragazza non lo posso raccontare ma, ci crediate o no, finito di scrivere il libro, finì anche il suo mal di mare. Mai più sofferto. Potenza della letteratura…

Da allora abbiamo fatto le vacanze in barca, a volte tutti insieme, a volte no e io e Stefano, dando prova di insano masochismo, non abbiamo saltato un solo week-end a Marina di Ravenna, neppure in pieno inverno.
Così, alla fine i week-end non sono bastati. La “casa”che lasciavamo la domenica sera ci mancava più di quella in cui stavamo tutta la settimana.
E a luglio dell’anno scorso siamo partiti…
Meno male…giusto in tempo per incontrare tutti voi…

Pagine stampate

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Devo ammetterlo, quando una giornalista di Repubblica ci ha telefonato per conoscere la nostra storia ha gestito l’intervista con una professionalità così delicata e affabile che mi é sembrato quasi di parlare con una vecchia amica.
Così, questa mattina, quando ho visto l’articolo sulla pagina nazionale
(http://bologna.repubblica.it/cronaca/2015/01/07/foto/la_famiglia_che_va_a_vivere_in_una_barca_a_vela-104396078/1/#1) l’emozione é stata grande.
Non tanto per l’idea di essere “famosi” ( mai stata attratta dalla fama, neanche a vent’anni) quanto per la responsabilità che comporta “parlare” ad una platea così vasta.

Cercate tutto quello che inferno non è; e dategli forza

diceva il buon Calvino e questa massima é scritta da anni nella prima pagina delle mie agende, prima cartacee, poi elettroniche, come monito a cercare sempre il meglio in ciò che ho davanti.
E se per un insegnante credo sia un dovere imprescindibile, penso che sia una buona idea comunque e per tutti.
Così, lungi dal pensare che dopo aver letto l’articolo tutti pensino a traslocare in una barca…😄, mi piace credere che, in tempi così bui, la buona notizia possa essere che, senza dover fuggire verso paradisi perduti, con scelte anche meno drastiche, più semplici e comuni, possiamo cambiare ciò che non ci piace nella nostra vita cogliendo (come disse il nostro vicino Gianmarco, con un augurio profetico) il meglio delle occasioni che la vita ci offre.

Custonaci

IMG_3171Tra naviganti capita spesso, soprattutto quando ci si conosce da poco, di riferirsi gli uni agli altri, chiamandosi coi nomi delle barche, tanto che spesso passa un po’ di tempo prima di venire a conoscenza degli effettivi nomi di battesimo.
Con la frequentazione, poi, si torna alla “normalità”.
Ma non per tutti.
Michela e Gabriele, per qualche oscuro motivo ( sarà la musicalità del nome, sarà che è breve ed evocativo) sono rimasti i  “Blu”.
E la firma dei Blu nel mio registro degli ospiti ha una cornice d’eccezione.

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Con mezz’ora di pullman siamo andati a Custonaci, attirati dal presepe vivente che si svolge in una vicina grotta. Nella realtà dei fatti, per motivi logistici, il presepe non l’abbiamo nemmeno intravisto ma il paesino valeva da solo il viaggio.
Custonaci, protetto dal severo profilo di Monte Cofano, domina il golfo di Bonagia, offrendo panorami di rara bellezza.

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Sotto la cattedrale, delimitata da un artistico piancito di sassi (spettacolare) si stende il paese.

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Nel corso principale le solite casine di legno stile Bolzano offrono cannoli e sfince (frittelle) bollenti e squisite, cosparse di zucchero e cannella.
Mentre ragazze vestite da Babbo Natale si aggirano per le vie, nei giardini crescono disordinatamente agrumi, ora carichi dei loro profumati frutti.
Assaporare una frittella mentre mi incanto a guardarli tra le foglie lucide e verdi, come fossero un dono inaspettato dell’inverno, fa parte dei privilegi dei viaggiatori, ai quali non rinuncerei per niente al mondo.

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Dietro i numeri…

 

I folletti delle statistiche di WordPress.com hanno preparato un rapporto annuale 2014 per questo blog.

 

Ecco un estratto:

Una metropolitana a New York trasporta 1 200 persone. Questo blog è stato visto circa 7.500 volte nel 2014. Se fosse una metropolitana di New York, ci vorrebbero circa 6 viaggi per trasportare altrettante persone.

Clicca qui per vedere il rapporto completo.

 

Non vado pazza per le statistiche, ma quelle di cui sopra sono simpatiche e, se ne avete voglia, potete darci un’occhiata perché in fondo parlano di voi.
Una buona fetta di quei numeri hanno per me un volto e un nome ma molti altri sono inediti lettori.
Mi piacerebbe conoscervi tutti ma, nel frattempo…
Auguri
ai vecchi e cari amici che, per non farsi togliere il saluto, sono stati costretti a leggermi;
Auguri a tutti quelli che mi seguono dall’inizio e a chi ha cominciato a leggere solo ora;
Auguri a chi ha letto solo un post e a chi é entrato e uscito perché non faceva per lui;
insomma,
Auguri a tutti e, nel contesto dell’epoca dei cambiamenti (anche climatici)

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Neve al porto di Trapani

 

Che il 2015 vi porti cambiamenti, piccoli o grandi ma sufficienti a rendere la vostra vita sempre migliore!!!

 

Mille sfumature di grigio.

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Forse qualcuno resterà deluso, ma le sfumature di cui sopra poco hanno a che fare con i romanzi erotici e molto con le previsioni meteo.
Siamo in trasferta bolognese, come tutti sapete, e siamo rimasti lontani abbastanza per dimenticare i colori dell’inverno. Cielo bigio, nuvole tono su tono, umido e pioggerellina fitta erano già caduti nell’oblio e…senza troppo dispiacere. Al contrario rivedere Bologna e Marina di Ravenna é stato un piacere. La prima, vestita a festa con luci e addobbi, é un soffio di “aria di Natale”

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e il porto di Marina, abituati ormai ad uno scarno pontile, é sempre una gioia per gli occhi.
Naturalmente é superfluo e banale ricordare che la cosa di gran lunga più piacevole sono stati gli incontri con gli amici e, a questo proposito, tanto per non perdere il vizio, abbiamo un’altra “chicca” da raccontare a beneficio della sincronicitá che caratterizza quest’anno.
Mentre chiacchieravamo con i gestori della “Casa della piadina”, a Marina, in attesa di gustarci l’unico cibo di cui abbiamo sentito veramente la mancanza, l’avventore che stazionava nel locale insieme a noi ci ha rivolto la parola, lasciandoci francamente basiti.
“Ma voi siete i parenti di Luca e Monica, quelli che vivono a Trapani, in barca?”
Più che una conferma il nostro sguardo é stata una muta richiesta di spiegazione, risolta dal fatto che, ad Ottavio (questo é il nome dell’avventore in questione, papà di un amico di nostro nipote), era bastato sentirci parlare della Sicilia e notare una certa somiglianza fraterna tra Stefano e Monica per fare due più due!
Presentazioni, risate, una foto ricordo e una comprensibile incredulità generale perché, pur considerando che l’abilità deduttiva del nostro amico é sicuramente superiore alla media, le possibilità di incontrarsi nello stesso posto, alla stessa ora e, in qualche modo, riconoscersi, senza essersi mai visti prima, é cosa, indiscutibilmente, poco comune.
Nulla accade per caso?
Forse.
Certo é che la vita é davvero costellata di inaspettate e bizzarre coincidenze.

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Auguri!

 

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Mai baciato tanti sconosciuti in vita mia…
Come dovunque, in questi giorni che precedono Natale le manifestazioni si sprecano:
concerti e cori in quasi ogni chiesa di Trapani;
la gara di torte l’ultimo giorno di scuola;

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il presepe subacqueo in piscina dove Daniela viene “arruolata” per fare la portatrice di doni con…le bombole.

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Ogni volta che l’occasione lo consente fioccano gli auguri e ogni volta, di contorno, ci sono baci e abbracci.
Per noi “nordici” la cosa è veramente bizzarra, soprattutto considerato il fatto che il minimo sindacale per i convenevoli in questione è veramente basso: conoscersi di vista è decisamente più che sufficiente.
Comunque, da domani gli auguri torneranno “tradizionali”.
Dopo sei mesi torniamo a casa (si fa per dire…) per le feste con una gran voglia di rivedere gli amici e molta meno voglia di rivedere la nebbia.
Quindi, in attesa di fare a molti di voi gli auguri di persona,

Buon Natale a tutti gli altri!!!

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Sarà il mare…

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Non so come ci riescano. Sarà il mare, il clima, il cibo.
Non che sia proprio così anomalo. Veniva naturale anche a me, ma solo dopo un po’ di tempo, con prudenza, se così si può dire…E comunque mai e poi mai la prima volta…
E invece…Abbiamo avuto i primi colloqui coi professori di Daniela.
Una decina di persone completamente sconosciute, mai viste né incontrate prima, di una cordialità imbarazzante.
Il tempo di darci la mano e …“pasta e fagioli insieme” è roba da dilettanti: qui parliamo di una conversazione che poteva avvenire solo tra cugini di primo grado…
E la cosa incredibile è che tra informarsi su “Come sta, allora, Silvia in Egitto?” e “Bella idea quella della barca”, è rimasto lo spazio per parlare in modo assolutamente professionale (sembra impossibile, ma vi giuro che è così) dell’ andamento scolastico della creatura.
Un’ alchimia perfettamente calibrata tra autorevolezza e cordialità, che ho raramente riscontrato.
E, tanto per farvi entrare nell’atmosfera, immaginatevi un prof. non tanto alto, pizzetto, occhi piccoli, vispi e mobilissimi dietro un paio di lenti tonde; ci stringe le mani calorosamente; fa apprezzamenti affettuosi sulla creatura (questo aiuta a rendercelo simpatico…); ci espone un resoconto dettagliato e pieno d’entusiasmo su un progetto che intende portare avanti nella classe (molto interessante, peraltro); cinge con un braccio le spalle di entrambi e come “chicca” finale in un angolo a bassa voce ci “confida”:
“Non ditelo a nessuno, ma io AMO questo lavoro, mi diverto da impazzire e (risata) mi pagano pure…”
Ora, dovendo scegliere, ho scelto il massimo.
Ma, anche se in modo decisamente meno teatrale, sembra davvero che facciano tutti questo mestiere con vero e profondo piacere.
Certo è prematura una qualsiasi valutazione sulla qualità dell’insegnamento, sui risultati e il giudizio va sospeso, almeno fino a Giugno.
Di una cosa, comunque, posso dirmi sicura: è davvero un gran lusso (e una benedizione per i ragazzi) lavorare con sincera passione.

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Ultima ora di storia dell’arte prima di Natale: auguri con merenda. (Pane cunzato, per la precisione)

 

Santi a tavola

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Come ha avuto modo di dire, non senza un tocco poetico, Casimiro, il mio salumiere di fiducia:
“Dopo l’Immacolata é tutta una mangiata”
Così S. Lucia, ricordata per aver salvato la città da una terribile carestia facendo miracolosamente sopraggiungere una nave carica di grano, ha il suo menú rituale.
Da giorni, in ogni negozio che abbia a che fare col cibo, sono esposti cartelli:
“Si prenotano arancine (rigorosamente al femminile ) per S.Lucia”
Tipiche di tutta la Sicilia, per i pochi che non le conoscono, sono impasti di riso, condito in vari modi e fritto.
Oggi impossibile non mangiarle, ed è un obbligo a cui ci sottoponiamo volentieri.
Un po’ meno diffusa, perlomeno a livello commerciale, la cuccia, grano con vino cotto.
Il grano non l’abbiamo assaggiato, ma la bottiglietta di vino cotto ce la siamo comprata: dolcissimo e denso come uno sciroppo.
Tuttavia, l’esperimento gastronomico più meritevole di menzione è senz’altro il bottiglione immortalato qui sotto.

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Presi da un’insana voglia di sperimentazione, ci siamo, infatti, inoltrati in una cantina sociale per acquistare del Nero d’Avola (così c’era scritto).
La cantina era nient’altro che un microscopico negozio e il vino veniva erogato da pompe in tutto e per tutto simili a quelle del distributore di benzina.
Agli sprovveduti avventori privi di bottiglia personale da riempire (noi, per esempio) veniva, a richiesta, fornito un contenitore, il più piccolo dei quali è il bottiglione ( di plastica!) da due litri di cui sopra.
Ora, non offenderó la vostra intelligenza spiegandovi com’è il contenuto; per farvi un’idea basterà che vi comunichi il costo del “vino” e sarà come “degustarlo”…
Due ( 2!) euro per due ( 2! ) litri di Nero d’Avola…
Spero che i pesci non possano ubriacarsi e… che Bacco ( e i nostri amici enologi) ci perdonino!

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